Negli ultimi due mesi in tutto il mondo si è assistito a una crescita notevole del lavoro da casa: è stato chiamato smart working, semplificando con questo termine un contesto molto variegato con diversi gradienti di autonomia, delega, lavoro per obiettivi consentiti dall’azienda alle persone.
Che si tratti di smart working, di telelavoro o di forme ibride tra i due, il minimo comun denominatore di queste esperienze è stato l’essersi trovati velocemente privi del consueto setting di lavoro, intendendo con questo l’insieme delle caratteristiche di un contesto, fatto di luoghi e spazi, ma anche di relazioni con colleghi, capi, collaboratori.
Lo slittamento verso forme di lavoro “smart” ha determinato anche una poderosa crescita dell’uso di piattaforme online, capaci di ospitare incontri, riunioni, training in modalità virtuale, allargando così anche il numero di imprese che hanno continuato le proprie attività grazie al lavoro dei cosiddetti team virtuali.
Questo ha comportato un notevole cambiamento nelle modalità di gestire un progetto, un’attività e le relative decisioni per un gruppo di lavoro. Ad esempio, sono venuti a mancare quegli scambi informali tra lavoratori (alla macchinetta del caffè, nei corridoi, alla scrivania del collega) che, nella vita “in presenza” delle organizzazioni, generalmente velocizzano i processi di comunicazione. Nei team virtuali, infatti, il processo decisionale è un aspetto da gestire con attenzione (Nemiro, 2008; DuBrin, 2013): sembra infatti che ci siano maggiori difficoltà nel mettere in campo strategie efficaci nel raccogliere informazioni, il che porta a trascurare alcune alternative che sarebbero invece da considerare (Cordes, 2016). Inoltre, rispetto ai team tradizionali, all’interno di un team virtuale la condivisione di informazioni è più scarsa (Roch & Ayman, 2005), a causa della mancanza di quella comunicazione non verbale che normalmente arricchisce i messaggi trasmessi, favorendo la comprensione tra interlocutori. Così, nel ricevere una mail o un messaggio, è più facile che si creino misunderstanding tra gli interlocutori, il che, di riflesso, aumenta il rischio di conflitti. Dunque, sembra più probabile che nei team virtuali il processo decisionale fallisca.
Tuttavia, entrambe queste sfide (prendere decisioni e gestire i conflitti) possono essere affrontate attraverso specifici interventi a livello di team. Ad esempio
training teams to manage conflict more effectively; introducing greater structure into the virtual team environment by adopting frameworks to help guide the decision making process; engaging in group exercises to develop trust and communication skills; and giving and receiving regular feedback about team performance” (O’Neill et al., 2018, p.3).
Dunque formazioni specifiche per la gestione dei conflitti, supporto ai processi decisionali, coinvolgimento delle persone in esercizi di gruppo per sostenere fiducia e capacità comunicative sono strumenti utili a superare alcune criticità tipiche dei team virtuali.
La crisi, questa crisi, inizia quindi a far intravedere le molteplici traiettorie di sviluppo che porta in seno e le nuove competenze e capacità su cui lavorare per migliorare la salute di persone e organizzazioni. Perché in fondo il bicchiere non è né mezzo pieno, né mezzo vuoto. Il bicchiere può essere riempito ancora.
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